Una maratona letteraria che sfianca, ma costringe a pensare
- Giusy Laganà

- 29 ago
- Tempo di lettura: 3 min

Ci sono libri che si leggono con il cuore, altri con la pancia, e poi ci sono quelli che ti obbligano a usare soprattutto la testa. Wellness di Nathan Hill appartiene decisamente a quest’ultima categoria. Ammetto fin da subito che non è stata una lettura facile né, per me, davvero appagante dal punto di vista emotivo. Eppure, mentre voltavo le ultime pagine, ho riconosciuto di aver attraversato un’esperienza complessa, lucida, quasi chirurgica nel modo in cui racconta chi siamo diventati — come individui, come coppie, come società. E proprio perché è un libro che non ho amato, ma che ho rispettato profondamente, sento il bisogno di parlarne. Al centro della storia ci sono Jack ed Elizabeth, due personaggi che seguiamo nel tempo, dalla loro giovinezza a Chicago negli anni Novanta, fino alla piena età adulta, in una relazione che si trasforma, si appiattisce, si frantuma e si ricompone sotto il peso del tempo, delle aspettative disilluse e dei compromessi.
All’apparenza, una trama già vista: la storia di una coppia che si incontra, si innamora, costruisce una vita, e poi si perde lungo la strada.
Ma Hill non scrive un semplice romanzo sulla crisi coniugale. Scrive un grande affresco generazionale. E in questo, riesce a centrare qualcosa di profondo, anche se spesso in modo faticoso. Nathan Hill è indubbiamente uno scrittore brillante. Ha il dono dell’osservazione sociologica, e in questo libro si muove con una padronanza intellettuale impressionante. Ogni capitolo sembra un saggio travestito da narrativa. Si parla di placebo, algoritmi, social media, psicologia evolutiva, genitorialità, terapia di coppia, capitalismo del benessere…
È un libro che ti incalza con idee, riflessioni, critiche implicite e talvolta anche molto esplicite.
Ma tutto questo sapere, per quanto affascinante, finisce per rallentare tremendamente il ritmo.
Come lettrice, ho avvertito spesso una certa frustrazione: sentivo che la storia si perdeva sotto il peso dei temi. I personaggi, invece di vivere, si mettevano a spiegare, a dimostrare, a filosofeggiare. E per quanto alcune riflessioni siano assolutamente puntuali e vere, ho fatto fatica a lasciarmi coinvolgere sul piano emotivo. Ciò che Wellness fa benissimo, però, è smontare il mito dell’amore come salvezza. Jack ed Elizabeth si amano — o almeno credono di farlo — eppure tutto ciò che li unisce sembra reggersi su idealizzazioni reciproche. Hill ci mostra quanto sia facile, all’inizio di una storia, costruire sull’altro una proiezione, e quanto sia difficile poi convivere con la sua versione reale, imperfetta, stanca. In questo senso, il romanzo ha una componente dolorosamente vera: l’amore adulto non è un sogno da inseguire, ma una serie di scelte, rinunce, dialoghi mancati e — se va bene — qualche fragile punto d’incontro. E poi c’è il tema della performance. La performance del benessere, della famiglia, della felicità. La necessità di mostrarsi realizzati anche quando tutto dentro di noi è disgregato. Hill lo racconta con ironia, ma anche con una sorta di compassione silenziosa per i suoi personaggi, così simili a molti di noi.
È impossibile non parlare della lentezza di questo romanzo. Alcuni capitoli sembrano dei trattati. Il racconto si dilata, si perde in digressioni che talvolta sembrano non portare da nessuna parte. Ci sono momenti in cui si ha la sensazione che il romanzo avrebbe potuto essere più snello, più incisivo, forse anche più coinvolgente. Ma c’è anche un’altra possibilità: che Hill abbia voluto deliberatamente scrivere un libro che ci costringa a rallentare, a riflettere, a uscire dal consumo compulsivo anche della narrativa. E allora mi chiedo: è Wellness un libro lento o semplicemente un libro che non vuole compiacere? Forse entrambe le cose. E forse, per questo, merita rispetto anche quando non riesce a farsi amare.
Con tutta sincerità: non è un libro per tutti. Lo consiglierei a chi ama la narrativa densa, riflessiva, strutturalmente complessa. A chi cerca romanzi che non si limitano a raccontare una storia, ma che vogliono anche dire qualcosa sul mondo. Non è una lettura “emozionante”, né particolarmente empatica. Ma è una lettura che offre molti spunti, che obbliga a fermarsi e a pensare — e che, forse, proprio per questo, riesce a lasciare un segno.
Se amate Jonathan Franzen, Don DeLillo, David Foster Wallace — autori che spesso sacrificano il ritmo alla profondità — allora potreste trovarvi a casa anche tra le pagine di Wellness. Se invece cercate un romanzo che vi catturi con la tensione emotiva, che vi faccia respirare con i suoi personaggi… potreste trovarlo frustrante, come è successo a me. Ma nonostante tutto, chiudo questo libro con gratitudine: per il pensiero che mi ha costretto a mettere in moto, per le verità scomode che ha saputo suggerire, e per la sensazione che — anche nella fatica — capire qualcosa in più di noi stessi sia ancora possibile.





I will try reading this book.