Uri di Alex Ezra Fornari – una lettura che scuote, guarisce e lascia un segno
- Giusy Laganà

- 30 mag
- Tempo di lettura: 3 min

Ci sono libri che si leggono con il cuore leggero, e altri che sembrano scavarti dentro pagina dopo pagina. "Uri" di Alex Ezra Fornari appartiene senza dubbio alla seconda categoria. È un romanzo che non lascia tregua, che ti costringe a fermarti, rileggere, riflettere, e spesso anche a metterlo giù per riprendere fiato. Non perché sia difficile da comprendere, ma perché è intenso, denso, profondamente umano e profondamente inquieto.
Ambientato in un’Italia di provincia degli anni Settanta – malinconica, sporca, perduta e vera – "Uri" ci racconta la storia di Ferrante, un uomo solo e disfatto dalla vita, e Milena, una donna spezzata, che si aggrappa all'alcol come unico rimedio contro un'esistenza senza speranza. La loro quotidianità viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo di Uri, un ragazzino misterioso, che pare sapere troppo, dire troppo, vedere troppo. Chi è Uri? Un angelo, un demone, un profeta bambino? Fornari non ci dà risposte semplici, ed è proprio questa ambiguità a rendere il romanzo così affascinante. Uri è, a suo modo, un "messia moderno", un ragazzino che mette a nudo i meccanismi più profondi dell’animo umano – anche quelli più oscuri. Il romanzo esplora temi come la solitudine, la redenzione, la spiritualità e la manipolazione psicologica. Uri, con la sua capacità di leggere l'animo umano, agisce come un catalizzatore che spinge gli altri a rivelare le loro verità più profonde. La sua figura è ambigua: è un salvatore, un bugiardo e un assassino, ma anche un messaggero di cambiamento.

Come lettrice, non riesco a etichettare Uri. È sfuggente come un sogno, ma concreto come un pugno nello stomaco. A tratti l’ho adorato, a tratti odiato. Mi ha inquietata, mi ha commossa, mi ha fatto sentire sporca e poi risanata. Uri non è un personaggio: è una forza, una presenza, una domanda aperta. Costringe chi lo incontra, e chi legge, a fare i conti con se stesso.
Ferrante e Milena, grazie (o a causa) di lui, si spogliano delle maschere, tornano a sentire, a vivere, a odiare, ad amare. Uri è il loro trauma, ma anche la loro rinascita.
Alex Ezra Fornari scrive con un'intensità quasi mistica. La sua prosa è lirica, ma mai leziosa; concreta, ma attraversata da una spiritualità sotterranea che avvolge tutto. Ogni parola è scelta con cura, ogni frase ha un peso, un ritmo, una voce. Ci sono momenti in cui sembra di leggere poesia. Altri in cui ci si sente nudi, esposti, vulnerabili.
C'è un realismo crudo, quasi pasoliniano, nella descrizione della vita quotidiana, ma c'è anche un simbolismo potente che trasfigura tutto. Uri è una parabola, una visione, un incubo e una preghiera. In certi punti, ho sentito echi di Dostoevskij, in altri un sapore da cinema d’autore italiano, quello più coraggioso, più viscerale. Non è un libro che si può semplicemente "piacere" o "non piacere". Uri si vive. Si subisce. Ti entra dentro e cambia qualcosa, anche se non sai bene cosa. Non è una lettura rassicurante. Non ci sono buoni e cattivi, redenzioni facili o morale da cartolina. Ci sono solo esseri umani fragili, incasinati, veri. E poi c’è lui, Uri, che li (ci) guarda e ci chiede: “Tu chi sei davvero?”
Ho chiuso il libro con il cuore agitato, le mani tremanti e una sola certezza: "Uri" è uno di quei romanzi che si ricordano per sempre. Non perché ti hanno intrattenuto, ma perché ti hanno cambiato. Perché ti hanno guardato dentro.
Consigliato a chi ama la letteratura che graffia, che interroga, che toglie e poi restituisce. A chi non cerca risposte facili. A chi è pronto ad attraversare il buio per scoprire se da qualche parte c’è ancora luce.
Da lettrice che ha attraversato le pagine di Uri con il cuore in subbuglio, non potevo non sentire il bisogno di conoscere qualcosa di più su chi quelle parole le ha scritte. Chi è Alex Ezra Fornari? Chi è quest’uomo che riesce a raccontare il dolore, la bellezza, il mistero e l’ambiguità dell’essere umano con una voce così unica, così sincera, così spiazzante? Fornari è nato a Parma nel 1962, e già questo – la provincia emiliana, concreta e ruvida – sembra aver lasciato un’impronta nella sua scrittura. Ma ciò che mi ha colpita davvero è la sua vita poliedrica: non solo scrittore, ma anche musicista, artista visivo, creativo a tutto tondo. Ha fondato una band punk da giovanissimo, ha inciso dischi, ha lavorato nel design e nella comunicazione. E forse è proprio da questo intreccio di esperienze che nasce quella voce così viva, vibrante, che si sente in ogni suo romanzo.Mi piace che non insegua mode. Non scrive per compiacere, ma per mettere in discussione, per creare un dialogo tra chi scrive e chi legge, che non è mai scontato né pacifico. È uno di quegli autori che non cercano il consenso facile, ma che, proprio per questo, lasciano il segno.





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