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Una satira elegante e irresistibilmente divertente, degna della miglior commedia all’italiana



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Da appassionata lettrice, raramente mi capita di trovare un autore capace di coniugare intelligenza, ironia e leggerezza con la maestria che dimostra Francesco Muzzopappa. La contessa va in crociera è un piccolo gioiello contemporaneo, una commedia brillante che riesce a far sorridere – e spesso ridere di gusto – pur senza mai scadere nel banale o nel grottesco fine a se stesso.


Il personaggio della Contessa è un colpo di genio: decadente, snob, irresistibilmente cinica, con quel tono da nobiltà fuori tempo massimo che nasconde però una mente lucida e una lingua affilata come un bisturi. Muzzopappa la tratteggia con una penna vivace e teatrale, facendo della sua voce narrante un elemento centrale del divertimento: ogni sua battuta è una piccola perla di sarcasmo, ogni riflessione un affondo nella follia – molto italiana – della nostra società.


La trama, che prende il via con la “catastrofica” decisione di salire su una nave da crociera low-cost, è in realtà un pretesto per dipingere un affresco comico-pop dell’Italia di oggi: tra parvenu, influencer improvvisati, personale sottopagato e assurdi meccanismi di status sociale, la crociera diventa una perfetta metafora galleggiante del nostro tempo.


Quello che più mi ha colpita, però, è l’equilibrio perfetto tra comicità e critica sociale. Muzzopappa scrive con uno stile limpido, scorrevole, ma anche ricco di riferimenti colti e giochi di parole raffinati. Non c’è solo umorismo, ma una vera capacità di osservazione del presente, con tutte le sue contraddizioni.


Ho riso, sì – tanto. Ma ho anche riflettuto. Sulla vacuità delle apparenze, sul declino delle élite culturali, sulla trasformazione del gusto e su come, anche in mezzo al trash più sfrenato, si possa ancora intravedere una scintilla di umanità. Consiglio questo libro non solo a chi cerca una lettura leggera ma intelligente, ma anche a chi ama le storie scritte bene, con personaggi indimenticabili e una voce autoriale originale e riconoscibile. Muzzopappa ha creato un mondo tutto suo, e la Contessa – con le sue manie, i suoi vezzi e il suo spirito inarrestabile – meriterebbe quasi una serie tutta sua.


Francesco Muzzopappa ha uno stile inconfondibile: brillante, ironico, a tratti quasi teatrale. La sua prosa è costruita con grande precisione, ma riesce a sembrare naturale e spontanea, come una conversazione colta e un po’ snob tra amici in un salotto d’altri tempi. Ogni frase è cesellata con cura, ogni battuta ha un ritmo perfetto. È raro trovare autori che abbiano una tale padronanza della comicità verbale, capace di divertire senza cadere nella superficialità. Il suo umorismo è colto, mai urlato, sempre accompagnato da una vena malinconica che affiora nei momenti più inaspettati.


Chi ha letto Affari di famiglia ritroverà in La contessa va in crociera lo stesso universo narrativo e lo stesso personaggio irresistibile: la Contessa Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna di Rebaudengo. Già nel primo romanzo che la vede protagonista, Muzzopappa l'aveva tratteggiata con gusto quasi pirandelliano, sospesa tra il ridicolo e il tragico, tra l’arroganza dell’aristocrazia decadente e una sorprendente lucidità nel leggere il presente. In Affari di famiglia, la Contessa affronta la fine del suo mondo – fatto di mobili d’epoca, maggiordomi silenziosi e sopracciglia inarcate con disprezzo – tentando disperatamente di restare a galla tra debiti, eredi imbarazzanti e reality show culturali. La contessa va in crociera riprende quel filo con naturalezza, portandola in un contesto ancora più grottesco, ma forse anche più umano: una crociera popolare dove il contrasto tra il suo aplomb aristocratico e la realtà circostante diventa micidiale.Muzzopappa, con questi due romanzi, ha creato una figura iconica che sta tra la tradizione della commedia italiana e la satira sociale più pungente. La sua scrittura non solo diverte, ma fotografa con intelligenza e stile le contraddizioni della società contemporanea – e lo fa con una leggerezza che non è mai superficialità.


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