top of page
  • Giusy Laganà

Libere di scegliere se e come avere figli, di Ilaria Maria Dondi e Dare la vita di Michela Murgia-




"Se esiste un superpotere femminile,ed esiste, contrariamente a quanto ci é stato fatto credere, non é la maternità (e neppure il multitasking!), ma la nostra potenzialità generatrice libera di autodeterminarsi, e quindi anche di esercitarsi al di fuori di rigidi schemi patriarcali o negandoli".


Ognuna di noi pronuncia a volte parole senza dar loro troppo peso, ma il concetto alla base di certe frasi e avvertimenti, scrive in Libere (Einaudi, 2024) la giornalista Ilaria Maria Dondi, è che la maternità porti con sé una sorta di upgrade della conoscenza femminile. Come se bastasse, ribadisce l'autrice, partorire o adottare un figlio per diventare, tutto ad un tratto, materne; o a rendere le voci delle donne più meritevoli di essere ascoltate rispetto a quelle delle donne senza figli.

Si continua a insistere, ancora oggi e aggiungo specialmente oggi, che una donna senza figli é una donna a metà, ma poi ci sono i beata te o i poverina, che lasciano intendere che nella vita altrui, quella femminile, manca qualcosa in assenza di prole. Non é forse anche questa una forma di violenza?


Sottolineare costantemente o anche solo occasionalmente l'incompiutezza di una donna é una tipologia di microaggressione che ne implica, non solo la discriminazione e la collocazione sociale in termini di realizzazione di un altro essere umano, subordinando la scelta o la condizione childless o childfree a quella dell'essere madre, ma anche una violenza inaudita di svalorizzazione.


Peccato che facendo così a uscire sminuita é sempre la femmina stessa, ridotta a individuo che può realizzarsi a pieno solo attraverso la maternità (e quindi solo attraverso l'intervento del seme maschile). Ci sono stati anni in cui tanto é stato fatto in passato, ma ancora oggi, specialmente nelle giovani generazioni di Millenials o gli Over 30, sempre più spesso la compiutezza femminile é subordinata all'essere madri. In questa partita a scacchi, coinvolto in primo livello, gioca un ruolo fondamentale il gioverno attuale che sembra incentivare la maternità senza attivarsi di fatto per una politica famigliare da tutti i punti di vista, in primis economico. Non esiste un unico tipo di madre, e non esiste un solo tipo di donna senza figli. Non esiste un unico inviolabile modello femminile che implica il dovere biologico obbligatorio.


Abbiamo un inesauribile potenziale di indipendenza (emotiva, sociale, economica,sentimentale, sessuale, riproduttiva), finora represso, che dobbiamo liberare. Di tutte le forme di sorellanza possibili, la dicotomia femminile che oppone madri e non madri, é la peggiore senza dubbio che possiamo servire sul piatto d'argento al sistema patriarcale moderno. Quante volte, molto spesso, perfino il giorno del mio matrimonio, mi é stato chiesto personalmente quando avrei "messo in cantiere" un figlio, perché all'epoca avevo trentadue anni, una casa, un lavoro stabile e una relazione ormai sigillata dal sacro vincolo del matrimonio. Quel giorni risposi che una donna é donna anche senza figli, é donna anche se si prende il suo tempo e aspetta per poi decidere se concepire o no. Inutile aggiungere che, da quel giorno, sono trascorsi cinque anni, e tutte le persone che avevano figliato per molto tempo mi giudicarono come una giovane donna troppo presa dal lavoro, dai libri, dal proprio aspetto estetico e dal divertimento. Il colpo di grazia arrivò qualche anno dopo, quando una persona a me molto cara, di qualche anno più giovane, si avvicino' con fare interrogatorio trascorrendo l'intera serata a farmi domande e a giudicarmi sul perché finora non avevo ancora deciso di realizzarmi in quanto una donna é donna solo se ha famiglia e con questo ultime termine era inteso avere dei figli. Incurante dei miei ritmi lavorativi, della distanza del luogo di lavoro, del forte stress che mi trascino da anni, molto persone non si sono risparmiate, nonostante quella sera dell'interrogatorio provenissi da un grave lutto o da altri problemi famigliari piuttosto gravi.


Una donna può raggiungere qualsiasi traguardo, essere bella,ricca, con un lavoro di prestigio, con una casa grande e moderna, ma la maternità sarà comunque il dato primario e costitutivo della sua identità. Mi sono accorta, leggendo o semplicemente osservando i miei coetanei, che la maternità oggi viene spesso anteposta alla condizione economica. Al contrario, io sono stata cresciuta, da una madre con un marito assenteista e irresponsabile, con un'educazione che metteva al primo posto l'emancipazione economica prima di tutto, seguita da quella culturale. Oggi, sembra tutto capovolto. In mancanza di una maternità, ogni donna, che ricopra o no ruoli pubblici, é chiamata a giustificarsi di continuo, in primis con altre donne.


La necessità di un nuovo linguaggio della non maternità si fonda sulle stesse istanze di rappresentazione che accendono il dibattito contemporaneo, sul bisogno di nominare e riconoscere la dignità delle identità innominate e negate. Dove sta scritto, quindi, che in quanto donne dobbiamo generare figli o qualcosa di abbastanza valido da giustificare il fatto di non averlo fatto?


Quella sera in cui una persona a me cara mi fece quello squallido interrogatorio, avrei dovuto izzarmi e capire come mai la mia interlocutrice fosse ancora con un lavoro stagionale precario, abitasse con i genitori e tante altre domande, ma ho preferito non sottolineare quella che per me la sua condizione fosse di netta inferiorità individuale e sociale, non solo rispetto alla mia, ma rispetto all'essere donna in generale come individuo indipendente da tutti i punti di vista, specie quello culturale.

Oggi si tende quindi a uniformare la donna al modello unico di madre, dimenticando che esistono tanti modi per essere donne, e questo avviene liberandosi dalle gabbie degli stereotipi tipici del sistema patriarcale. Solo lottando per cancellare questo modello e livellando i pregiudizi femminili, si riuscirà a dare voce a tutte quelle identità represse e a costruire un sistema sociale fondato sulla libertà culturale.


Dopo aver letto Libere di Ilaria Maria Dondi, mi sono cimentata nell'ultimo libro a posteriori di Michela Murgia, Dare la vita (Rizzoli, 2024), curato da Alessandro Giammei, suo figlio d'anima. Qui, la scrittrice, mancata lo scorso agosto 2023, scardina completamente l'assetto della famiglia tradizionale. Si può essere madri di figlie o figli che si scelgono,e che a loro volta ci hanno scelte? Si può costruire una famiglia senza vincoli di sangue? La risposta é si.


"Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi".


La queerness familiare é ormai una realtà,e affrontarla una necessità politica, come lo é quella di una dialogo lucido e aperto sulla gestazione per altre/altri, un tema che mette in crisi la presunta radice dell'essere donne. Questo attivismo é stato tipico delle lotte compiute per anni da Michela Murgia, e alla base della sua letteratura, attraverso i social, i suoi libri, raccogliendo nelle ultime settimane di vita i suoi pensieri a partire dalla sua esperienza personale. A partire dall'utilizzo del linguaggio comune (stato interessante, prometto di esserti fedele sempre e di non lasciarti mai ecc...) la scrittrice affronta la politica femminile di oggi, assente e assai carente, in assenza di vere politiche di welfare, attraverso una attenta analisi in primis dell'uso della parole. Nominare significa escludere. Questo é un grosso problema per ci vuole pensare in una prospettiva queer e spiegare cosa intenda, perché é vero che nominare significa definire e definire vuol dire sigillare per sempre una parola, inchiodandola a un solo senso. La queerness invece é una pratica della soglia che fa il contrario: accoglie il cambiamento come strutturale. Il mutamento viene inteso come unica possibilità di sopravvivenza dell'energia vitale che ognuno di noi coltiva intimamente.


Oltre a svincolare i pregiudizi dell'autorealizzazione femminile in Libere, Con Dare la vita, si distrugge attraverso una analisi sintattica delle parole e delle definizioni, la costruzione socio-culturale della famiglia, con i suoi limiti e difficoltà. Michela Murgia é stata madre di quattro figli d'anima, essendoci dal punti visto economico, culturale e famigliare.Anche questo significa essere madri. Anche questo significa essere donne seppure senza una maternità biologica. Simone De Beauvoir, e prima di lei Virginia Woolf, e dopo Annie Ernaux hanno costruito una letteratura postmoderna dove la donna é prima di tutto un individuo autorealizzato sulla base delle sue potenzialità, non attraverso la sua dimensione biologica. Dove il successo é dovuto dal raggiungimento di traguardi negli studi, nella scrittura, nel lavoro, nella posizione culturale. Al pari degli uomini, con gli stessi stumenti e risorse, dobbiamo spingere verso una prospettiva di pari opportunità liberandoci dai ruoli definiti dalla tradizione sessuale, scegliendo noi, donne o no, il nostro futuro, la nostra autodeterminazione.


Ilaria Maria Dondi è giornalista professionista e, dal 2017, direttrice responsabile della testata digitale «Roba da Donne». Scrive e si occupa di questioni di genere, con particolare riferimento alle forme di violenza, alle rappresentazioni e ai linguaggi discriminatori. È autrice di Rompere le uova, newsletter sui diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi). Per Einaudi ha pubblicato Libere. di scegliere se e come avere figli (2024)


Michela Murgia (Cabras, 3 giugno 1972Roma, 10 agosto 2023[1]) è stata un'attivista, scrittrice, drammaturga, opinionista e critica letteraria italiana, autrice del romanzo Accabadora per il quale ha vinto i premi Campiello, Dessì e SuperMondello. Oltre a essere una nota attivista politica soprattutto nell'ambito della parità di genere e dell'antifascismo, partecipando alla vita politica italiana con numerosi interventi in programmi televisivi e dibattiti. La Murgia ha sposato nel 2010 Manuel Persico, di quattordici anni più giovane di lei. I due si sono separati quattro anni dopo a causa del cancro che viene diagnosticato alla Murgia. Nel 2017 viene rappresentato al teatro Valle di Roma il suo testo Festa Nazionale, mentre debutta anche lo spettacolo Accabadora, adattato dall'omonimo romanzo.





bottom of page