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L'albero delle stanze - di Giuseppe Lupo




<Cinque generazioni, una casa di stanze una sopra l’altra, il passaggio dal secondo al terzo millenio>

Una storia che ci ha messo quarant’anni per diventare libro.



Babele Bensalem ha quarant'anni, vive a Parigi con moglie e due figlie, è sordo ed esercita con successo la professione di medico "delle ossa" da buon erede del suo bisnonno "ascoltatore di pietre". Gli ultimi quattro giorni del 1999 torna nella casa dov'è nato, che è disabitata e sta per essere venduta. Mentre i falegnami smontano i mobili per portarli via, Babele sente voci inaudite, suoni inusuali: sono i muri che gli narrano la storia della sua famiglia lungo i cento anni in cui è stato innalzato e abitato, stanza dopo stanza, l'enorme edificio che ha la forma di una torre. Si liberano i ricordi e le storie di tutti gli zii, prozii, padre, nonno e bisnonno di Babele. Il tema dominante del libro è la nostalgia dell'abbandono: uno dopo l'altro, i membri della famiglia sono in qualche modo "costretti" a lasciare il mondo dove sono nati e cresciuti. L'albero di stanze, da microcosmo famigliare e da mondo di Babele diventa il mondo di tutti: ne fanno parte i parenti di Babele, ma ne fanno parte anche i mercanti, i forestieri, il misterioso personaggio Yousuf e gli echi di lontane civiltà mediorientali. E poi ci accorgiamo di farne parte anche noi. È questa la magia di Lupo: ha trovato un modo oggettivo per far rivivere al lettore i suoi sentimenti, grazie a un linguaggio nuovo, ricchissimo di metafore e usando tutta la forza evocatrice della parola. Trasformando un romanzo in una poesia epica.


Questa è la storia di una grande famiglia, durata un secolo, che dal bisnonno Redentore, ha costruito pietra dopo pietra, questa grande casa in verticale robusta e imponente come una grande quercia, simbolo della famiglia e della sua continuità. Babele è sordo e questo viaggio, dalle prime stanze sino all'ultima, in alto, destinata alla sua famiglia, sfiorando le stelle, lo aiuterà a sentire finalmente tutto e a capire il senso del suo percorso interiore e del suo futuro. Nonostante i vari membri della famiglia, per tanti motivi, saranno costretti ad abbandonare la torre, Babele racchiuderà e compirà l'ultimo passaggio per entrare nel nuovo secolo e per dire addio alla casa della sua famiglia e alla loro storia, ritrovando sè stesso.


Riporto la testimonianza dell'autore in occasione dell'uscita del libro:


"Io non so se un albero ha la virtù di camminare (può darsi che ci sia un mondo dove questo accade), però non è azzardo se dico che L’albero di stanze, ci ha messo quarant’anni per diventare libro. Un cammino lungo, molto lungo, cominciato quando io frequentavo la scuola elementare e pensavo a come raccontare la storia di una famiglia vissuta cento anni dentro un edificio di ventisette stanze: quattro generazioni che si sono affacciate nel Novecento e una, la quinta, già proiettata nel Duemila. Confesso che avrei voluto scrivere questo libro già in passato. Probabilmente l’ho anche fatto: il mio primo abbozzo di romanzo, scritto a vent’anni, si intitolava La casa aperta, d’estate. Un testo alla Pavese (di cui a quell’epoca leggevo tutto), che diceva di una famiglia dispersa, che tornava a radunarsi solo in agosto, nel mese delle ferie. Però, però… C’erano tanti però intorno a quelle pagine, che non diedi a nessun editore e che ho tenuto lì, sotto una pila di fogli impolverati, come il lievito nel futuro pane, in attesa di giorni migliori. In quel tentativo di scrittura c’era qualcosa che non mi convinceva, che mi faceva dire a me stesso: ciò che racconti può essere interessante, però non bruciare la legna troppo presto, aspetta che si faccia secca e leggera. Ho aspettato che la legna invecchiasse con me, ho aspettato che il silenzio di tutte le successive stagioni desse la corretta stagionatura ai personaggi impazienti di approdare sulla carta, che il passare del tempo mi facesse capire i nessi, le giunture, i bulloni, le viti che dovevano tenere insieme, una alla volta, le generazioni di questa epopea familiare. E nel frattempo, mentre il libro dormiva nella cenere o scorreva come un fiume sotterraneo, ho scritto altro: cinque romanzi, più il resto. Poi all’improvviso il come mi si è presentato davanti agli occhi: limpido e comprensibile, naturale, esplicito, senza forzature. E io non ho opposto resistenze al fiume che voleva scorrere. Cinque generazioni, una casa di stanze una sopra l’altra, il passaggio dal secondo al terzo millennio: la fatidica notte del 31 dicembre 1999. Tutto doveva cominciare e finire in quella notte, in cui il mondo non ha dormito aspettando l’alba. Anche il protagonista del mio libro non dorme per aspettare l’alba, ma la sua non è una festa, piuttosto la celebrazione di un rito antico e solenne, in compagnia di un vecchio guardiano che non ha età. Una domanda mi continuava a perseguitare: chi ha abitato nella Torre di Babele? La Bibbia non ce lo racconta. Ci dice solo quello che è accaduto dopo che l’enorme edificio era stato innalzato ma non finito: la confusione delle lingue, la discordia tra gli uomini, le guerre. La casa dove si ambienta la mia storia è un “albero di stanze”, una costruzione verticale. E io mi continuavo a chiedere: a chi affidare il racconto dei padri, dei nonni e dei bisnonni, vissuti dentro una torre? A chi se non a un giovane chiamato Babele, che non sente le voci degli uomini ma capisce perfettamente il linguaggio dei muri? Forse sono io Babele, forse Babele è l’uomo che sarei voluto essere: un sordo, un indovino. Può darsi. Di sicuro l’estate appena trascorsa, licenziate le bozze, sono sprofondato nella solitudine. Il romanzo che avevo atteso da una vita era pronto per essere stampato: copertina, bandella, fotografia… Al libro non mancava nulla, a me invece mancava il libro".


Giuseppe Lupo



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